Verso un eclettismo consapevole

Dal dibattito contemporaneo sul disegno dei luoghi di svolgimento di ogni attività umana, quindi sulle modalità stesse dell’abitare, il tema della calligrafia, cioè dello stile della scrittura architettonica, ha perso completamente ogni interesse. E se in astratto nessun giudizio di valore può essere espresso compitamente sulla scelta espressiva in relazione alla provenienza del testo, è sui contenuti che si sposta l’interesse di qualsiasi narrazione progettuale. Anzi ciò che un tempo era osservato con diffidenza oggi è comunemente condiviso nella convinzione che la condizione eclettica con cui necessariamente conviviamo, non sia altro che lo specchio “naturale” di una società multiculturale, complessa, articolata e pervasa da una moltitudine d’immagini che rendono plausibile, quindi libera, qualsiasi forma di appartenenza.

Tuttavia non si tratta di un “liberi tutti” generalizzato e inconsapevole, piuttosto del fatto conclamato che non costituisca sorpresa la “mescolanza” dei linguaggi che appartiene a qualsiasi forma di dialogo interna al processo creativo. L’eclettismo che oggi attraversa il mondo del design e dell’architettura non rappresenta quindi un’opzione stilistica, ma una condizione inevitabile dell’oggi poiché viviamo in una società complessa, caratterizzata da una molteplicità di influenze culturali, etniche e sociali che necessariamente interagiscono tra loro. Questa compresenza nell’immaginario collettivo di elementi diversi e variegati ha portato alla dissoluzione delle barriere ideologiche tradizionali, alla inutilità delle contese stilistiche e dell’affermazione tout court di un qualsiasi linguaggio architettonico rendendo il progetto il campo dell’inclusività, dove le influenze e le diverse opportunità espressive si ibridano senza soluzione di continuità. Tuttavia se la globalizzazione ha inciso sulla diffusione e sovrapposizione delle idee è anche causa di una paradossale omologazione che tende a livellare le differenze, distruggere le specifiche identità facendo rientrare dalla “finestra” quell’appiattimento culturale e unilaterale che sembrava fortunatamente e definitivamente uscito dalla “porta”. Contro questo latente rischio di perdita di valore delle singole modalità d’espressione dobbiamo difendere la condizione plurale dell’abitare spostando l’accento sul significato ultimo di ogni narrazione, indipendentemente dalla forma con cui questa viene proposta e divulgata. Se non è il “come” ma il “dove” il fulcro attorno al quale si concentra ogni interesse attorno al progetto, allora significa che alla storia si sovrappone una geografia dei comportamenti che di necessità rifugge dalla standardizzazione e dalla banalizzazione del progetto legando il testo al contesto. Potremmo quindi sottoscrivere la via di un “eclettismo consapevole” per indicare un’idea di abitare correlata alle caratteristiche specifiche dei luoghi, al loro valore e all’azione progettuale come una libera traduzione e interpretazione sotto forma di sintesi delle diverse istanze culturali, una sorta di tributo al valore della tolleranza e dell’accoglienza di cui la quotidianità ha assolutamente bisogno. Per questa via, la vecchia accezione di eclettismo si trasforma da stile in pratica culturale capace di creare spazi in grado di raccontare storie diverse e inusuali.

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