Rivista internazionale di architettura e arti del progetto novembre/dicembre 2007
Steven Holl
Ogni anno Area dedica uno dei suoi numeri tematici ad una monografia d’autore che costituisce, nella sequenza delle pubblicazioni, non già il sostituto di un libro o di un qualsiasi catalogo, quanto una precisa linea di indirizzo tracciata attraverso l’esperienza di architetti e protagonisti che con il loro lavoro possono costituire, a nostro giudizio, un utile termine di riferimento e confronto per l’operare contemporaneo. Non si tratta di una deviazione rispetto alla conosciuta linea editoriale organizzata per argomenti che costituisce altrettanti percorsi di ricerca, piuttosto un approfondimento secondo un modo di osservare il progetto attraverso un particolare punto di vista legato alla specificità di un singolo autore. E poiché le scelte non sono mai occasionali, o dettate semplicemente dalla rilevanza internazionale degli esempi selezionati, è utile soffermarsi su ciò che nel dibattito interno alla redazione è considerato come propedeutico allo svolgersi di un’indagine che, architettura dopo architettura, fuoriesce dal particolare per divenire traccia di un condivisibile modo di essere del progetto. Da questo punto di vista l’opera di Steven Holl ma considerazioni analoghe attraversano fortunatamente il lavoro di altri autori (si veda Area n. 67 dedicata all’opera di Rafael Moneo) declina un atteggiamento del costruire che rifugge costantemente dall’autoreferenzialità per approdare ad un ambito espressivo dove le risposte non appaiono mai preconfezionate o costrette entro una calligrafia che appiattisce la scrittura architettonica all’interno di una mono-tonia tanto suadente quanto distante dalla realtà, tanto utile per le catalogazioni della critica, quanto inutile e dannosa rispetto ai destini della città. Non si tratta tuttavia di una semplice duttilità ai luoghi e alla diversità dei temi affrontati, quanto di un consapevole modo di concepire il progetto come conseguenza di un’attività di ricerca che di volta in volta approda verso esiti nuovi secondo canoni che, oltrepassando dialettiche conosciute: lucido/opaco, trasparente/schermato, leggero/massivo, compatto/disarticolato, agiscono direttamente sulle regole e le tecniche costruttive trasformando ogni edificio in una sperimentazione architettonica completa. Una sperimentazione che coinvolge la configurazione spaziale dell’edificio: si pensi alla fluidità dinamica dell’interno del Kiasma Museum di Helsinki in raffronto alla stereometrica partitura degli uffici Sarphatistraat di Amsterdam, oppure alla concezione costruttiva che muove dallo studio dei componenti prefabbricati della St. Ignatius Chapel, e del loro assemblaggio in opera, o la modularità ripetuta della tradizionale struttura in cemento armato dei dormitori Simmons Hall al MIT.
L’involucro architettonico si riflette continuamente nelle strategie del progetto, sia che si tratti di un’opera che impone la propria presenza sul paesaggio, per cui risulta necessario definire una nuova immagine ed una nuova identità, (come nel caso del Linked Hybrid di Beijing in Cina) sia che intervenga per frammenti iridescenti massimamente rispettosi delle preesistenze e del contesto originario, come nel progetto del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City. Probabilmente sono queste le ragioni per le quali il suo bellissimo studio posto all’undicesimo piano di un tradizionale edificio industriale newyorkese con vista mozzafiato sull’Hudson River appare più che un ufficio, un laboratorio progettuale, più che la sede di un importante professionista americano, affermato a livello internazionale, un atelier dove di giorno in giorno si sperimentano temi e soluzioni in divenire. Probabilmente è per questa continua tensione progettuale, guidata da una ricerca instancabile, che le attività in Cina sono state accompagnate da una parallela riflessione sfociata nella pubblicazione di 32, una rivista creata con l’obiettivo di aprire un dialogo con una realtà nuova e ricca di stimoli, quegli stessi stimoli che Holl ci offre in ogni opera con il suo lavoro.
Marco Casamonti
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