Rivista internazionale di architettura e arti del progetto marzo/aprile 2021
La casa nell’anno della pandemia
Essendo l’architettura un’arte lenta che dilata nel tempo la distanza tra processo creativo e realizzazione fisica, le case collettive e i luoghi residenziali che analizziamo oggi sono il frutto di progettazioni precedenti l’emergenza legata alla pandemia indotta dal Covid-19. Tuttavia tra il dolore e le privazioni indotte da un virus per molti versi ancora sconosciuto, emergono riflessioni che rilanciano il tema dell’abitare rendendo almeno utile, per chi si occupa di architettura, tornare a indagare con attenzione contenuti e specificità dello spazio domestico contemporaneo. Probabilmente si tratta di una necessità che nasce dalla colpevole trascuratezza che negli anni i protagonisti del dibattito e della critica di architettura hanno dimostrato nei confronti della casa di abitazione (Area da questo punto di vista sembra esente da critiche si vedano i numeri 55, 61, 68, 86, 93 e 118 sull’argomento) anche se a parziale conforto degli addetti ai lavori vale la pena ricordare che nessuno poteva immaginare, appena pochi mesi fa, che un fattore imponderabile ci avrebbe costretto a vivere molto tempo più del previsto tra le mura domestiche incrementando il tempo e le attività da svolgere all’interno dei nostri appartamenti. In ogni caso le riflessioni di oggi non riguardano solo ed esclusivamente i layout interni quanto i servizi e le dotazioni dei sistemi aggregati di alloggi, fino a coinvolgere dimensioni più ampie quali l’edificio, l’isolato il quartiere e in ultima analisi lo spazio urbano. Procedendo per gradi quali considerazioni e quali insegnamenti possiamo trarre dall’esperienza attuale? La prima e più drammatica emergenza riguarda la connettività e l’accesso ai servizi digitali, questione che sembra una banalità per le aree urbane ad elevata densità – anche se in molte parti dei centri storici la banda larga appare comunque un miraggio – che invece si trasforma in una vera e propria forma di ghettizzazione e discriminazione sociale nel caso dei centri minori e delle aree rurali, come per molti luoghi e paesi del mondo ancora in via di sviluppo, in ritardo sulla possibilità di accedere facilmente alle informazioni fornite dalla rete. Si è insomma compreso con drammatica velocità che per essere cittadini partecipi della vita e delle attività collettive non è sufficiente condividere o possedere uno spazio fisico chiuso, coperto e climaticamente confortevole, ma serve anche uno spazio virtuale accessibile e ugualmente confortevole nell’uso. Un uso che va dal telelavoro alla didattica a distanza fino alla medicina e quindi alla salute. Inoltre, concessa la connettività e quindi lo spazio virtuale, abbiamo immediatamente compreso l’inadeguatezza dello spazio fisico della maggior parte delle nostre case, che sono risultate inadatte allo svolgimento di molte attività un tempo esternalizzate che oggi, e forse anche domani, dovremo considerare domestiche a tutti gli effetti. Per anni il mercato ha inseguito e proposto abitazioni sempre più piccole e compatte arrivando a proporre monolocali e bi-locali (soggiorno-cucina, bagno, camera) privi di ingresso, senza filtri tra esterno ed interno; con un unico bagno, come se un servizio aggiuntivo fosse un lusso e non una necessità per spogliarsi e sanificarsi prima di entrare in casa; prive di balcone o loggia, ignorando l’importanza dell‘esistenza di uno spazio, tra interno privato ed esterno collettivo, in cui poter respirare all’aria aperta, coltivare una pianta o realizzare una forma di micro giardino pensile. Allo stesso modo il mercato dell’abitazione non ha concepito, o compreso, la necessità nelle residenze standard di medio livello di ambienti dedicati allo smart working o lo smart learning riservando tali servizi, oggettivamente essenziali, al solo livello luxury dell’offerta di mercato. E che dire dei servizi collettivi e condominiali, quanti edifici sono dotati di palestra, sala giochi per bambini, sale studio, vani per ricevere pacchi oltre la posta ordinaria? Oggettivamente in Italia poche residenze ne sono dotate, e se il mercato internazionale offre un panorama migliore certamente non è esaustivo o soddisfacente. Come risolvere questa richiesta di modernizzazione di un patrimonio edilizio scadente, energivoro e talvolta inospitale? Con apposite normative che stabiliscano per legge nuovi standard e nuovi parametri qualitativi a partire dall’edilizia pubblica e sociale in modo che il mercato privato sia obbligato ad uniformarsi a tali livelli di offerta. Si tratta di un vero e proprio passaggio culturale che tuttavia non è difficile da comprendere ed attuare attraverso una indispensabile opera di democratizzazione delle opzioni di risposta alle necessità dell’abitare contemporaneo. Per una maggior chiarezza dovremmo far compiere al mercato della casa quel processo rapido di modernizzazione che hanno effettuato altri settori industriali quali quello dell’automotive. Solo pochi decenni fa l’aria condizionata, il servo sterzo o il servofreno, le dotazioni di sicurezza quali gli airbag oppure di svago quali l’autoradio, rappresentavano accessori che erano appannaggio esclusivo delle auto di classe superiore. Oggi possiamo immaginarci una utilitaria senza connessione wi-fi o bluetooth, senza navigatore, impianto di climatizzazione, un adeguato bagagliaio, consumi contenuti, o comfort sufficiente delle sospensioni? Non possiamo neppure immaginarla, e nel caso non l’accetteremmo e, in ultima analisi, non la compreremmo. Perché questo processo non deve accadere anche per luoghi ben più importanti in cui trascorriamo più tempo quali lo spazio domestico?
Marco Casamonti
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