Rivista internazionale di architettura e arti del progetto novembre/dicembre 2017
Italian Stories.
Architecture between portrait and self-portrait.
La vera e singolare storia di questo numero di Area dedicato all’architettura italiana nasce da un’intuizione dell’editore, Ivo Nardella (a.d. di Tecniche Nuove) che ha sollecitato la direzione a trasformare il numero monografico annuale dedicato al ritratto di un protagonista del dibattito architettonico internazionale in un originale quanto complesso auto-ritratto. Non si tratta di seguire una moda che vede la consuetudine del “selfie” entrare, talvolta fastidiosamente, dentro ogni esperienza quotidiana, quanto la consapevolezza che la rivista, pur ospitando con continuità posizioni critiche e metodologiche differenti, possa esprimere, come nella migliore tradizione pubblicistica italiana, il proprio pensiero e la propria azione progettuale. Siamo inoltre convinti, per la complessità, la pluralità e la simultanea compresenza di esperienze e linguaggi che solo superficialmente sembrano oggi sminuire, se non addirittura azzerare, ogni riflessione critica, come l’azione di quest’ultima si renda viceversa indispensabile almeno per sistematizzare e rendere trasmissibili i contenuti di una disciplina che, oltre a modificare la pratica e il significato dell’abitare, esprime i fermenti e le pulsioni culturali che attraversano per intero il contesto italiano. Tuttavia l’idea che l’architettura d’oggi possa essere osservata e descritta fuori e dentro se stessa apre scenari talmente ampi da rendere necessaria la costruzione di un racconto scritto per capitoli di cui l’attuale non può che costituirne l’incipit. Per l’inizio è sembrato naturale, chiedere di compiere questo sforzo di riflessione e auto-riflessione a Luca Molinari convinti che la sua recente direzione del padiglione Italiano della Biennale di Venezia potesse costituire una solida base di partenza di questa sorta di analisi e autoanalisi che sconfina, del tutto intenzionalmente, nell’autobiografia. Tale ipotesi – tratteggiata dalla figura di un critico che ha diretto una delle più importanti rassegne di architettura a livello internazionale e che proviene dall’insegnamento della storia e quindi dall’esercizio critico per approdare alla didattica del progetto – ha innescato una inaspettata quanto interessante reazione a catena che ha chiamato in causa, di necessità, Paolo Portoghesi. Come era lecito aspettarsi l’inventore della “Strada Novissima” non solo non si è sottratto all’ipotesi di compiere una ricognizione su una delle più importanti figure del passato – a Molinari il compito dell’oggi – ma con questa ha ricostruito e partecipato attivamente all’ipotesi di tracciare un profilo critico del dibattito italiano coinvolgendo, con l’autore scelto – Francesco Borromini – se stesso. Il risultato, come richiesto, è l’esercizio critico e autocritico che dal passato conduce all’attualità, una sorta di osservazione attraverso un vetro che, in particolari condizioni di luce, diviene, come noto, una superficie specchiante. Evidentemente dall’ipotesi iniziale, divenuta strada facendo pervasiva e coinvolgente, nessuno poteva sottrarsi, tantomeno il sottoscritto, convinto che la migliore critica sia quella operativa in grado cioè di supportare le parole con i fatti. Non vi è dubbio alcuno sulla validità del celebre aforisma di Einstein secondo cui niente sia più pratico e utile di una corretta teoria così come è certo che niente sia più teorico e intellettualmente rilevante della pratica del progetto. Un mestiere in grado di proporre e alimentarsi solo attraverso potenti pulsioni culturali.
Marco Casamonti
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