Rivista internazionale di architettura e arti del progetto novembre/dicembre 2016
A part worth the whole
Qualsiasi scritto di presentazione dovrebbe dare al lettore una visione ampia e descrittiva dell’argomento trattato. In particolare di fronte ad una monografia dedicata ad uno o più autori, comunque riferiti ad un lavoro comune, sarebbe necessario introdurre il tema attraverso un‘osservazione critica orizzontale in grado di tratteggiare i caratteri generali di un agire che si esprime attraverso gli anni e le opere. Tuttavia ad ogni regola esistono le proprie eccezioni, e mai come nel caso del lavoro dello studio newyorkese Diller Scofidio + Renfro, una parte, in questo caso un progetto, vale per il tutto, cioè per spiegare l‘intero corpus di una carriera tanto intensa e articolata quale quella dei due, tre, quattro, cento, architetti-artisti americani uniti nel pensiero, nell‘azione critica, nel lavoro e nella vita. L‘opera in questione è ovviamente l‘High-Line di New York il celebre parco lineare sopraelevato che ha trasformato una antica infrastruttura di trasporto in un autentico oggetto di culto. E quando il lavoro di uno studio di architettura ha la capacità di cambiare con un solo gesto “orizzontale”, il destino e la qualità della vita di milioni di persone, allora serve osservare in “verticale”, cioè nello specifico, il valore di quell‘opera nella certezza che quel progetto da solo sia sufficiente per spiegare e raccontare il valore di un percorso critico e operativo che ha “regalato” al mondo una visione tanto nuova e originale da divenire l‘emblema del riscatto di una intera disciplina. Si tratta infatti di un lavoro tanto semplice e incisivo da chiudere definitivamente i conti, per l‘architettura, con ciò che il pensiero comune ha riconosciuto ed esaltato nei trenta anni precedenti: lo star system, la spettacolarizzazione del progetto, l‘interdipendenza dallo show business, la concezione – del tutto errata – che il progetto potesse relazionarsi più con i valori oggettuali – e quindi del design – che al significato intrinseco dell‘opera di architettura come parte di un tutto che è la città, come fatto urbano, come interpretazione di un contesto costruito o naturale che sia. L‘High-Line è un‘opera di restauro, di rigenerazione urbana, un pezzo di land art, una ricerca attenta e colta sul design del dettaglio, sull‘arte di plasmare e utilizzare la natura, un luogo di passaggio/passeggio e quindi di svago, l‘occasione per riflettere sul degrado sociale e tecnologico, in definitiva una architettura nel senso più attuale e compiuto del termine. Dove passa l‘High-Line i valori immobiliari si sono impennati, gli edifici hanno iniziato a cambiare le proprie facciate ad essere restaurati e curati, su quell‘impalcato di ferro, oggi trasformato in giardino, le persone si danno appuntamento e trascorrono i loro momenti liberi; ciò che era scuro e sporco è divenuto pulito e limpido, luminoso, ciò che era artificiale, naturale, ciò che era precluso, concesso, ciò che era impossibile, possibile. L‘idea stessa di monumento è cambiata e forse non è un caso che ciò sia avvenuto proprio a New York dove Central Park, il vero riferimento della città, trova un nuovo alleato nell‘affermazione della città come luogo di svolgimento delle attività umane in forma aggregata. Evidentemente “Born in the U.S.A!”, come recita il testo di un orgoglioso Bruce Springsteen, significa accedere anche inconsciamente a quei valori comunicativi e intuitivi che sono base per il marketing, la genesi dei social, il successo globale dell‘arte come strumento di comunicazione. O ancora lo “Yes We Can!” di un presidente ormai in pensione, può essere utilizzato quale slogan per dire che la contemporaneità genera risorse e la città energie per continuare ad ospitare la vita, renderla piacevole e al contempo verificare che qualsiasi contesto urbano è in grado di sviluppare gli anticorpi per correggere le “storture” di una megalopoli dove puoi camminare solo al ritmo cadenzato dei semafori. La High-Line è anche la conferma che vi sono opere che superano il confine disciplinare dell‘architettura per aprire altre riflessioni e altri mondi. Questo è il contributo straordinario offerto dallo studio DS+R, e un’opera, un‘opera sola, senza niente togliere ad uno straordinario percorso critico e operativo iniziato ormai da oltre quaranta anni, credetemi, vale per tutte.
Marco Casamonti
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