Rivista internazionale di architettura e arti del progetto marzo/aprile 2015
The World is Under Construction
Che globalmente le necessità dell’abitare di oltre sette miliardi di persone che popolano il pianeta richieda una complessa quanto frenetica attività di costruzione dei luoghi che consentano lo svolgimento della vita e delle attività umane, è questione nota e comprensibile. Che tuttavia questa attività di conquista di spazi chiusi e protetti segua talvolta regole e modalità che prescindono dalle stringenti necessità dell’abitare per aderire alle regole del mercato, di volontà individuali muovendosi per fini di mera speculazione finanziaria o di ostentazione di un potere economico e politico indipendente dalla logica dei bisogni è, ancorché noto, questione su cui occorre viceversa riflettere con particolare attenzione. Parimenti occorre ricordare, anche se tristemente di pubblico dominio, che vi sono aree del mondo in assoluta emergenza abitativa, come in molti paesi in via di sviluppo, dove l’attività edilizia segue in modo spontaneo, spesso illegale e quindi informale, il moltiplicarsi delle richieste di una casa costruendo non già i luoghi del vivere ma sacche enormi di disagio e consumo di suolo, prive delle minime condizioni, non dico di servizi alla collettività, ma di igiene e salubrità che, come ricordava Vitruvio in tempi non sospetti, dovrebbero costituire le ragioni prime del progetto. L’architettura non è un’arte per tutti, ma oggettivamente un privilegio dei paesi ricchi, uno status che si conquista dopo che una società sia riuscita a soddisfare i suoi bisogni primari tra i quali, qui sta la contraddizione, rientra proprio l’abitare. Possiamo cioè affermare che l’architettura, nel mondo, talvolta ma non di rado, si cimenti e si eserciti là dove meno serve, seguendo criteri e modalità indipendenti dalla logica, o meglio assecondando percorsi e regole che, come abbiamo ricordato, hanno più a che vedere con l’economia e il potere che non con i bisogni della gente. Inoltre non deve essere dimenticato che se l’azione del costruire produce, o almeno dovrebbe produrre, benefici per la vita individuale e collettiva delle persone, dall’altra consuma inesorabilmente una delle risorse non riproducibili del pianeta e cioè il suolo. Ciò impone una questione non solo programmatica o di intenti ma, prioritariamente etica; una visione che dovrebbe condurci ad incentivare qualsiasi strategia di governo del territorio mirata ad intervenire su terreni già costruiti indipendentemente dalla immediata convenienza economica dei singoli operatori. Basti pensare alle oltre duecento torri vuote nel centro di San Paolo in Brasile una delle città con la maggior emergenza abitativa del mondo recentemente censite dall’Assessorato alla casa, oppure all’abbandono di interi quartieri come avvenuto a Detroit, per effetto della crisi dell’automobile.
Nel mondo delle costruzioni pur rappresentando tra tutte le attività umane la più diffusa e globale, anche per tecniche e conoscenze acquisite sono ancor oggi evidenti, proprio in relazione alle considerazioni di cui sopra, enormi differenze di comportamento da paese a paese, da città a città, sia nei tempi di costruzione sia in termini di qualità tecnica e architettonica del costruito, sia in termini di quantità del realizzato, fino all’assurdo di veri e propri casi, come Dubai, dove la sproporzione tra il numero degli abitanti e il numero di vani e alloggi costruiti palesa l’edilizia non già come un’attività legata alle esigenze dell’abitare, ma piuttosto ad un puro strumento finanziario. Pertanto, questo numero di Area, nel proporre quei progetti che sono oggi sui tavoli degli studi, quindi in costruzione o appena conclusi, non vuole soltanto anticipare ciò di cui discuteremo in termini accademici tra qualche mese secondo criteri prettamente stilistici o calligrafici, tecnici o di congruenza materica, quanto sottolineare le caratteristiche di una attività, il costruire, che richiede una generale quanto necessaria presa di coscienza in relazione ai costi, ai tempi, alle necessità, e quindi alle ricadute sociali che tale impegno comporta.
Marco Casamonti
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